di Saverio Monno

Week-end particolarmente propizio per Silvio Berlusconi. Al termine di una settimana di “afflizioni”, il premier in pectore riesce a chetare gli appetiti degli alleati e a chiudere il toto-ministri. Il summit milanese, nella sede della Lega in via Bellerio, permette al Cavaliere di incassare l’agognato sì del carroccio. Al vertice, in agenda da giorni, e preceduto da un’interminabile serie di incontri e riunioni, in cui gli alleati non perdevano occasione per tirare il doppiopetto al Cavaliere, prendono parte, oltre a Berlusconi e Bossi, l’immancabile frotta di galantuomini. Tra questi Aldo Brancher (arrestato per tangenti e condannato a 2 anni e 8 mesi, per falso in bilancio e violazione della legge sul finanziamento ai partiti), Roberto Maroni (4 mesi e 20 giorni per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale) e Roberto Calderoli (indagato per ricettazione nell’inchiesta sulla Bpl di Giampiero Fiorani). A conclusione del meeting, davanti ai cronisti, i soliti segnali distensivi, a celare le giornate trascorse a muovere e rimuovere le tessere di un mosaico che non prendeva alcuna forma. “E’ un incontro che soddisfa entrambe le parti - sorride Berlusconi - stiamo andando avanti come avevamo cominciato”. In realtà le cose sono iniziate in modo diverso. Con Bossi che arrivava a minacciare di votare col PD per la presidenza di una delle due camere, in caso il Cavaliere avesse pensato a qualche brutto tiro “in stile democristiano”. Con le minacce dei colonnelli di An: “Non accettiamo di essere secondi a nessuno” e le rivendicazioni isolate delle correnti minori del centro-destra (Mussolini e Rotondi).

Ma nel parapiglia generale, l’uomo di Arcore affronta uno alla volta gli alleati e, rimbalzando da un salotto all’altro, riesce, alla fine, a far quadrare il cerchio sulla squadra di governo. Un aiuto gli arriva pure dalla moglie, la signora Veronica, che, nel corso di un’intervista, confessa di essere “la componente leghista della famiglia”. In via Bellerio, dunque, con un “incontro assolutamente soddisfacente”, come annota lo stesso Berlusconi, si sono poste le basi per una nuova pace tra il senatùr ed il Cavaliere. I dissapori registrati in settimana però, mettono a nudo le tare di un sodalizio, oggi precario più che mai, che vede il Cavaliere in difficoltà, di fronte ad un carroccio con il “coltello dalla parte del manico” (come evidenzia lo stesso Bossi ndr.).

La spartizione della torta, insomma, può dirsi solo provvisoriamente conclusa. Non solo per le possibili frizioni con la Lega, ma anche perché si è scelto di rimandare la soluzione di alcune complicazioni di particolare rilievo. Tra queste, a preoccupare maggiormente il Cavaliere è il duello per il Campidoglio. Se Alemanno (indagato per finanziamenti illeciti da Callisto Tanzi alla sua rivista Area) non riuscisse, infatti, a espugnare il palazzo del comune, lo scenario cambierebbe radicalmente. La disfatta romana provocherebbe, a cascata, cambiamenti sostanziali nella composizione dell’intero esecutivo. E ricomincerebbe il walzer delle riunioni per ri-assegnare i coupon.

Restano, poi, insoluti l’affaire Formigoni ed il nodo Viminale. Per quel che concerne il Presidente della Regione Lombardia - Berlusconi lo incontrerà prestissimo - sembra che le ambizioni romane del governatore siano destinate a restare frustrate e, almeno per il momento, dovrà contentarsi di restare alla guida del Pirellone. Una poltrona che diviene quantomeno scomoda per Formigoni, coinvolto nello scandalo delle cosiddette “Ricette d’oro”, indagato per irregolarità nella gestione della discarica di Cerro, per la gestione della società regionale Lombardia Risorse (fallimento da 22 mila miliardi) e per abuso patrimoniale d’ufficio, nella gestione della fondazione Bussolera-Branca. Agli interni, invece, la poltrona oscilla tra due cavalli di razza: Roberto Maroni (Lega) e Claudio Scajola (Pdl).

Il primo è sponsorizzato dal senatùr in persona. “E’ uno con le palle – garantisce il leader del carroccio – in grado di affrontare i problemi della sicurezza e dell'espulsione dei clandestini”. C’è da fidarsi. E’ un autentico mastino, dal passato ineccepibile. Venne condannato, infatti, per oltraggio e resistenza nel corso di alcuni tafferugli tra camicie verdi e forze dell’ordine, scoppiati in occasione di una perquisizione proprio nella sede leghista di via Bellerio: Maroni, stando alle accuse, avrebbe aggredito un agente di polizia addentandogli una caviglia.

Per Scajola, invece, quello agli Interni, sarebbe un ritorno che non ha bisogno di presentazioni. Impantanato nel cosiddetto. “Scandalo dei casinò” (1983) viene coinvolto in una storia di tangenti. E’ arrestato e subito prosciolto (31 gennaio 1989), per insufficienza di elementi a suo carico. Tra i padri fondatori di Forza Italia, riceve l’incarico di responsabile dell’ordine pubblico ai tempi del G8 di Genova, ma delude le attese e sbaglia tutto. Poi lascia senza protezione il consulente ministeriale Marco Biagi. “Un rompicoglioni” (come lo definì lo stesso Scajola) che di lì a poco sarebbe stato assassinato dalle nuove BR.

Salvo piroette in “zona Cesarini”, tipiche del folklore arcoriano, allo stato attuale sembra che ogni poltrona sia stata assegnata, ogni casella riempita. Il quadro dunque è nitido. Nella corsa agli Interni, Roberto Maroni pare in vantaggio su Scajola, che con ogni probabilità verrebbe dirottato allo Sviluppo Economico, o alle Attività Produttive. Ignazio La Russa dovrebbe occuparsi della Difesa. Giulio Tremonti, l’unico certo sin dall’inizio della campagna elettorale, andrà all’Economia. Luca Zaia, ex vicegovernatore del Veneto, all’Agricoltura. Il “poeta”, al secolo Sandro Bondi, ai Beni Culturali. Paolo Bonaiuti si occuperà, invece, dei Rapporti col Parlamento. E in attesa di conoscere il futuro di Gianni Alemanno, Maurizio Sacconi sarebbe il nuovo ministro del Welfare.

Al rientro in Italia, Franco Frattini, è, invece, indicato come futuro titolare degli Esteri. L’ex vicepresidente della Commissione UE, fresco di una condanna votata dal Parlamento Europeo, per alcune dichiarazioni “infelici” sulla liceità delle necessarie espulsioni dei rom, sembra il candidato ideale per la Farnesina.

Alla Giustizia pare sia destinato Elio Vito”. Alla sua quinta legislatura, l’ex capogruppo di Fi, sembra in vantaggio su Castelli per la poltrona di Guardasigilli. L’ex ministro, indagato per abuso d’ufficio, ma perdonato da un Senato targato centro-sinistra (che, solo cinque mesi fa, negava l’autorizzazione a procedere chiesta dal Tribunale dei ministri di Roma), nonostante le voci che lo vorrebbero in dirittura d’arrivo al Pirellone, come sostituto di Formigoni, pare destinato a ricoprire un ruolo da viceministro. L’ipotesi, però, non entusiasma Berlusconi, che lo rivedrebbe volentieri in via Arenula perché afferma: «Voglio un politico, non un tecnico, a trattare con i magistrati”. E Castelli, “lo ha già fatto per cinque anni e lo ha fatto bene” continua il leader del Pdl.

Agli Affari Regionali largo a Raffaele Fitto. L’ex governatore pugliese ha un curriculum di tutto rispetto. Indagato per corruzione, falso e illecito finanziamento ai partiti, nel 2006 s’è salvato dalle manette perché la Camera ha respinto la richiesta di autorizzazione ad arrestarlo, inoltrata dai giudici di Bari. Nel dicembre 2007, però, la Procura barese ne ha comunque richiesto il rinvio a giudizio per corruzione e illecito finanziamento. La storia è il solito rigurgito da “prima repubblica”, presunte tangenti, per un occhio di riguardo che aiutasse a vincere qualche appalto particolarmente appetibile.

Alla Funzione Pubblica viene fatto insistentemente il nome di Angelino Alfano. Anche il coordinatore di Forza Italia in Sicilia ha i suoi momenti di “gloria”. E’ stato tirato in ballo, infatti, da qualche “malpensante”, nell’inchiesta della Procura di Agrigento su alcuni concorsi truccati all’AUSL-1, della stessa provincia sicula. Nel corso delle indagini disposte dalla procura agrigentina, le forze dell’ordine avrebbero rinvenuto nell’ufficio del direttore dell’Ausl locale, Armando Savarino, un “pizzino” recante i nomi dei vincitori di uno dei tre concorsi, con i nomi dei presunti sponsor politici: Sav, Iac, Alf, Cuf. Le “toghe rosse” avrebbero “maliziosamente” collegato la dicitura “Alf” ad Angelino Alfano.

Alle infrastrutture andrebbe, invece, Altero Matteoli. L’ex senatore è indagato a Genova per rivelazione di segreto e favoreggiamento nei confronti dell’ex prefetto di Livorno: il colonnello di An lo avrebbe avvertito delle indagini a suo carico sugli abusi edilizi all’isola d’Elba.

Quanto a “borselli rosa”, nella futura compagine di governo la presenza femminile è parecchio esigua. Si fanno i nomi di Mariastella Gelmini, in lizza per l’Istruzione e Stefania Prestigiacomo, per il ministero dell’Ambiente. A sorpresa, pare certa l’esclusione, tra le polemiche, della “rossa” Michela Vittoria Brambilla, scalzata all’ultimo proprio dalla Prestigiacomo.

Confermati poi gli scranni più alti di Camera e Senato, vi siederanno i “fidi” Gianfranco Fini e Renato Schifani. Altra certezza, Fabrizio Cicchitto (tessera P2 n. 2232, fascicolo 945) e Maurizio Gasparri , capigruppo del Pdl rispettivamente a Montecitorio ed a Palazzo Madama. Per la vicepresidenza del consiglio pare sempre più concreta, invece, l’ipotesi Roberto Calderoli. Il “papà del porcellum”, con la sua candidatura, spinta da Bossi in persona, ha suscitato non poche polemiche. Lo stesso Berlusconi ha tentennato sul caso, avrebbe preferito affidare l’incarico al solo Gianni Letta. L’immancabile braccio destro del Cavaliere. Uno degli ingranaggi fondamentali della macchina Arcoriana, soprattutto per le questioni più delicate (ad es. i rapporti con il Quirinale e con il Vaticano).

In un Parlamento di indagati, condannati, prescritti e rinviati a giudizio, parlare delle beghe giudiziarie di Berlusconi e “camerati”, non desta più alcuno scalpore. Non ci resta che stare a guardare, mentre la longa manu del Cavaliere dispone le carte in tavola. Nel frattempo, prepariamoci ad un quinquennio di lacrime e sangue.

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